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LONGEVITÀ: SI POTRANNO RINGIOVANIRE LE ARTERIE CON IL GENE DEGLI ULTRACENTENARI ?

Il gene che può fermare l'invecchiamento è una variante naturale del gene BPIFB4, che è più comune nelle persone che vivono fino a 100 anni o più, potrebbe aiutare a mantenere giovane il cuore.

02/07/2024 12:23:00 | parafarmaciaovf

Un gene che migliora la fluidificazione del sangue con produzione di ossido nitrico a livello endoteliale, fino a migliorare la performance del cardiomiocita umano, la cellula muscolare del cuore deputata alla generazione e alla trasmissione dell’impulso contrattile, cioè del battito cardiaco”, conferisce al cardiomiocita una maggior forza di contrazione e ne aumenta la frequenza del battito.

Questo vantaggio si associa a un’ulteriore azione positiva che LAV-BPIFB4 esercita sul fibroblasto, limitando la sua produzione di fibrosi, che rende il tessuto cardiaco più rigido. Ogni giorno il tuo cuore batte circa 100.000 volte, pompando circa otto litri di sangue nel tuo corpo. Verso i 30/40 anni, la funzione del cuore può iniziare a diminuire come parte del normale invecchiamento. Man mano che si invecchia, attività come correre o giocare a tennis diventano più difficili. Tuttavia, alcuni centenari, come quelli che vivono a Okinawa, un gruppo di isole nel sud del Giappone, sembrano aver svelato il segreto di una vita lunga e sana, e alcuni di loro sembrano avere un cuore più giovane della loro età. "È una combinazione di buon stile di vita e buoni geni", spiega il professor Paolo Madeddu dell'Università di Bristol. “E hanno scoperto che uno di questi geni buoni può fermare l'invecchiamento”.

I RICERCATORI HANNO OSSERVATO COME LA PROTEINA BPIFB4 INFLUENZI IL COMPORTAMENTO DELLE CELLULE CARDIACHE UMANE, RENDENDOLE PIÙ “RESILIENTI” NEL REAGIRE A UN INFARTO, ARGINANDONE LE CONSEGUENZE. LO STUDIO GETTA LE BASI PER FUTURE APPLICAZIONI TERAPEUTICHE DEL GENE NELLA CURA DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI.

Negli esseri umani, l'invecchiamento può colpire molte parti del corpo, compreso l'indebolimento del cuore e del sistema circolatorio. Ad esempio, l'insufficienza cardiaca, una condizione grave e talvolta invalidante per la quale non esiste un'altra cura se non il trapianto di cuore. I sintomi includono mancanza di respiro e sensazione di stanchezza anormale. L'insufficienza cardiaca può verificarsi a qualsiasi età, ma è più comune nelle persone anziane e nelle persone che hanno avuto un infarto e che soffrono di cardiomiopatia o pressione alta.

NATTOKINASI NELLA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE E STIMOLAZIONE DEI GENI DELLA LONGEVITA'.
La nattokinasi è un enzima proteolitico di 275 aminoacidi, della famiglia delle subtilisine (serina-proteasi). Studiata già nei primi decenni del ’900 come costituente del Natto, dava prova di poter degradare la fibrina e le gelatine. Una volta caratterizzata e isolata, negli anni ‘80 il Prof. Sumi, in Giappone, ne ha confermato l’azione fibrinolitica nei confronti dei trombi. Studi in vitro, in vivo e in volontari umani hanno permesso di verificare un’attività fibrinolitica comparabile con quella della plasmina (l’enzima fisiologico che degrada la fibrina); l’attività fibrinolitica diretta, è affiancata da un’attività indiretta, ovvero che passa attraverso la degradazione di PAI-1 (inibitore dell’attivatore del plasminogeno, t-PA).
È stato anche osservato che la Nattokinasi ha un’attività inibitoria trascurabile nei confronti della cascata di attivazione della coagulazione, in risposta a lesioni dei tessuti.

L’ipertensione è una delle patologie più comuni e diffuse nel mondo occidentale; il rischio di sviluppare la malattia cardiovascolare aumenta progressivamente all’incrementare della pressione sanguigna già sopra i valori di 115/75; una pressione che supera 140/90 richiede un intervento attivo. Riduzioni nell’ordine di soli 2 mmHg possono abbassare di un 10-15% il rischio di ictus e infarto. L’ipertensione è infine uno dei marker che delineano l’occorrenza della sindrome metabolica.
L’attività ipotensiva della nattokinasi è stata osservata sia in studi in animali modello sia nell’uomo; si ipotizza che il meccanismo d’azione coinvolga il sistema renina-angiotensina ma che la nattokinasi non agisca su ACE (Angiotensin-Converting Enzyme, come i comuni farmaci ipotensivi), bensì sulla renina.

In uno studio RCT del 2008 (Kim et al.) condotto su un totale di 86 volontari con pressione sistolica elevata (tra 130 e 159 mmHg) il gruppo supplementato con 2000 FU giornaliere di nattokinasi per 8 settimane ha osservato una riduzione significativa della pressione sanguigna (vedi figura) rispetto a quanto è stato misurato nel gruppo del placebo: la riduzione netta tra i due gruppi dopo 8 settimane è consistita in –5.6 mmHg per la sistolica e –2.8 mmHg per la diastolica a favore del gruppo sotto trattamento (risp. p=0.029 e p=0.027).

Questi risultati hanno confermato quelli ottenuti in studi precedenti (1998 e 2003), condotti con dosaggi maggiori, e sono stati poi verificati anche in un altro studio più recente, sempre randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco condotto su 74 volontari (Jensen at al., 2016); in questo trial la riduzione più pronunciata nei soggetti trattati (2000 FU/die) rispetto al placebo si è osservata nella pressione diastolica (84 vs 87 mmHg, p<0.04). La riduzione nella pressione sistolica del gruppo trattato con nattokinasi (-4 mmHg) ha raggiunto un trend statistico (p<0.1). Effetti particolarmente significativi si sono osservati nella sotto-popolazione maschile dello studio.

Il consiglio Nutraceutico è di utilizzare nattokinasi per l'azione fibrinolitica, antiaggregante e di stimolazione dei geni per la produzione di ossido nitrico a livello endoteliale.
Posologia: OVF Nattokinasi da prendere due capsule al giorno lontano dai pasti
Chiedere al proprio medico o farmacista se si stanno assumendo farmaci antiaggreganti.

Dr Fabrizio Marrone Farmacista esperto in Nutraceutica ed Epigenetica

 
 
 
 
 
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